La Libreria Fahrenheit 451 vi segnala le novità dalle edizioni SUR:
“Capannone n. 8”
di Deb Olin Unferth.
C’è chi lo ha definito un Ocean’s Eleven con le galline, Capannone n. 8 racconta infatti la strampalata avventura di un gruppo di attivisti improvvisati decisi a liberare novecentomila galline ovaiole da un allevamento industriale. Questo romanzo insolito e irriverente ha la capacità di affrontare temi attualissimi e cruciali – come quelli legati all’industria del cibo e allo sfruttamento delle risorse naturali – senza toni moralistici o predicatori. Imperdibile per i lettori vegani, o interessati alle tematiche ambientali, Capannone n. 8 è il libro da consigliare a chi ha amato la satira postmoderna di Mattatoio n. 5 e Comma 22 (il numero nel titolo è più di una felice coincidenza…) e a chi è in cerca di storie sovversive e prospettive inedite.
Janey e Cleveland sono due ispettrici addette al controllo degli allevamenti intensivi di galline ovaiole in una zona dell’Iowa, Dill è l’ex capo di un’associazione ambientalista, Annabelle la riluttante erede di una famiglia di allevatori; per motivi diversi vivono vite simili: frustrate e piene di rimpianti. Finché, per gli effetti a catena di una decisione impulsiva, non diventano improbabili alleati in una folle missione: liberare di nascosto tutte le novecentomila galline di un allevamento industriale in una sola notte, con l’aiuto di trecento indisciplinati volontari e sessanta camion: ce la faranno?
Un romanzo a più voci (volatili inclusi!) rocambolesco e imprevedibile, esilarante e sovversivo, che trascina il lettore in un’avventura surreale ma al tempo stesso mette radicalmente in discussione la prevaricazione del nostro sistema economico sul mondo naturale.
Deb Olin Unferth (Chicago, 1968) è autrice di due romanzi, due raccolte di racconti, un graphic novel e un memoir, “Revolution” (sulla sua fuga giovanile da un college americano al Nicaragua della rivoluzione sandinista), finalista al National Book Critics Circle Award. Ha pubblicato su Granta, McSweeney’s, The Believer, The Paris Review; insegna all’Università del Texas ed è la fondatrice e direttrice di Pen-City Writers, un master in scrittura creativa per detenuti in un carcere di massima sicurezza del Texas. “Capannone n. 8” è il suo primo libro pubblicato in Italia.
“1971. L’anno d’oro del rock”
di David Hapworth.
Il 1970, con lo scioglimento ufficiale dei Beatles, segna la conclusione simbolica degli anni Sessanta. Archiviata traumaticamente un’era musicale, se ne apre una interamente nuova, in un misto di aspettative e delusioni, paure e slanci creativi. Il 1971, il primo anno del nuovo e all’apparenza fragile decennio, si dimostrerà alla fine tra i più fertili e innovativi di tutta la storia del rock, lasciando un’eredità che a distanza di quasi mezzo secolo continua a essere fortemente sentita nel panorama musicale contemporaneo.
Seguendo un filo cronologico, ma arricchendo la narrazione con libere associazioni, approfondimenti o semplici curiosità, il critico inglese David Hepworth racconta eventi noti e meno noti di un anno irripetibile. La prima visita di David Bowie negli Stati Uniti, da cui scaturirà l’idea del personaggio di Ziggy Stardust. Le leggendarie sedute di registrazione agli studi A&M di Hollywood, dove negli stessi giorni vengono incisi Tapestry di Carole King e Blue di Joni Mitchell, i due capolavori del cantautorato femminile del decennio. La nascita della prima catena di negozi di dischi su scala mondiale, la Tower Records, e quella del primo programma televisivo dedicato alla black music, Soul Train. E poi il matrimonio di Mick Jagger, l’infortunio di Frank Zappa, la morte di Jim Morrison…
Tra songwriter romantici e rockstar in fuga dal fisco, produttori avventurosi e discografici spregiudicati, ideatori di trasmissioni radiofoniche e inventori di strumenti elettronici, 1971 compone, con rigore e un tocco di nostalgia, una cronistoria inedita dell’«anno d’oro del rock».
David Hepworth (1950) è un giornalista, presentatore e critico musicale inglese. Attivo fin dagli anni Settanta, ha lanciato e collaborato a riviste come Smash Hits, Q, Mojo e The Word. È autore di Uncommon People: The Rise and Fall of the Rock Stars e di The Secret History of Entertainment. Il suo blog è whatsheonaboutnow.blogspot.com.
“Shaft tra gli ebrei”
di Ernest Tidyman.
“Shaft esaminò il vecchio attraverso una coltre di fumo. Cinquecentomila dollari non erano guano di pipistrello. Erano cinquecentomila bigliettoni. Per una somma simile un uomo dovrebbe essere disposto a farsi rompere il culo. O a saltare da un ponte senza aspettarsi la rete di sicurezza.”
John Shaft è appena rientrato da un meritato viaggio di riposo sulle spiagge della Giamaica e si prepara ad affrontare l’inverno newyorkese tra le braccia della biondissima Amy, quando l’imprevisto torna a bussare alla porta del suo ufficio di investigatore privato. Un gruppetto di ebrei hassidici, commercianti in pietre preziose, gli affida un caso che riguarda una serie di omicidi nel mondo dei diamanti. In gioco per Shaft c’è una ricompensa di oltre cinquecentomila dollari: neanche poi tanti, considerata la quantità di guai che lo attende. In un ambiente ebraico che si rivela più ostile e indecifrabile del previsto, il detective nero troverà sulla sua strada la figlia di uno scienziato che ha fatto una scoperta eclatante, un commando dei servizi segreti israeliani, lo spietato direttore gay di una gioielleria, un poliziotto mediocre in cerca di vendetta… Basteranno i suoi muscoli e il suo cervello – e qualche opportuno travestimento – a fargli guadagnare il mezzo milione, evitando le pallottole che sembrano piovergli addosso da ogni parte?
Con il montaggio cinematografico delle scene, la precisione della prosa e un magistrale orecchio per i dialoghi, Tidyman ci consegna il secondo, imperdibile episodio della saga di Shaft, confermandosi uno dei grandi maestri del romanzo d’azione.
Ernest Tidyman (1928-1984) è stato un romanziere e sceneggiatore statunitense. Oltre ai sette volumi del ciclo di Shaft, pubblicati tra il 1970 e il 1975, è autore di Flower Power (1968), Line of Duty (1974), Dummy (1974), Big Bucks (1982). La sua sceneggiatura per Il braccio violento della legge è stata premiata con un Oscar nel 1972.