Recensione: “Peperoncino”

Recensione di Noemi Veneziani

Alain Mabanckou
Peperoncino
(66THAND2ND)

peperoncinoTokumisa Nzambe po Mose yamoyindo abotami namboka ya Bakoko, che in lingala significa “Rendiamo grazie a Dio, il Mosè nero è nato sulla terra degli antenati”, è il nome che il religioso papà Moupelo decise di assegnare a quel bimbo abbandonato alle porte del grande orfanotrofio di Loango. Un nome lungo e importante e che tutti abbreviavano semplicemente in Mosè.
Era tutto sommato piacevole la vita nell’orfanotrofio e papà Moupelo contribuiva al divertimento dei ragazzi quando, poco prima dell’ora dedicata al catechismo, si cimentava in una sequenza infinita di manovre nel tentativo di parcheggiare la sua Mercedes con il muso rivolto in avanti già pronto per uscire. Oltre a papà Moupelo, a Sabine Niangui – premurosa mamma adottiva di tutti gli orfanelli -, l’inseparabile compagno di giochi Bonaventure e tanti altri strambi personaggi, nell’orfanotrofio vivevano anche i severi e corrotti sorveglianti di corridoio e il temibile direttore Dieudonné Ngoulmoumarko. Fu proprio il severo Dieudonné a dichiarare inaspettatamente l’avvio di un lungo processo di evoluzione che avrebbe alterato per sempre il volto dell’orfanotrofio e della stessa società congolese: era iniziata la Rivoluzione socialista scientifica e con essa scomparvero misteriosamente sia l’affezionato papà Moupelo che la dolce Sabine.
Da ora in avanti, la bandiera rossa della Rivoluzione sarebbe rimasta ben esposta nel cortile dell’orfanotrofio.

Il rosso simboleggiava la lotta che aveva condotto all’indipendenza del nostro paese negli anni Sessanta; il verde, la natura rigogliosa e lussureggiante delle nostre campagne; il giallo, l’insieme delle nostre ricchezze naturali che l’Europa aveva rubato e depredato fino alla nostra emancipazione. Quanto alla zappa e al martello, ci esortano al lavoro, all’attività manuale, mentre la stella giallo-oro ci ricordava la necessità di rivolgere lo sguardo al futuro e di perseguitare senza sosta i nemici della Rivoluzione, compresi quelli che vivevano nel nostro paese e avevano il nostro stesso colore di pelle, i “lacchè dell’imperialismo”.
[…] Quando i bianchi sono venuti in Africa, noi avevamo le terre e loro la Bibbia. Ci hanno insegnato a pregare con gli occhi chiusi: quando li abbiamo aperti, i bianchi avevano la terra e noi la Bibbia.

A causa di questi mutamenti la vita all’orfanotrofio si fece insopportabile, così Mosè, approfittando del perfetto piano di fuga escogitato dai tremendi gemelli Songi-Songi e Tala-Tala, decise di accettare l’invito di questi e di unirsi al gruppo che sarebbe presto fuggito da Loango. La separazione da Bonaventure fu una inevitabile conseguenza, anche perché egli era convinto che, un giorno o l’altro, un aereo sarebbe giunto unicamente per lui. Da quel momento in avanti, il timido Bonaventure avrebbe dovuto affrontare la vita da solo, senza poter contare sullo spavaldo Mosè che lo aveva sempre difeso da quei pestiferi gemelli arrivando persino a guadagnarsi il simpatico soprannome di Peperoncino a causa di un ridicolo scherzo messo in atto ai danni dei due monelli.

Io e Bonaventure stavamo nel blocco 4 insieme ad altri otto compagni che dormivano come ghiri quando di notte mi alzai in punta di piedi per andare al blocco 6 e cospargere di peperoncino il cibo che quei due ingordi dei gemelli imboscavano sotto i loro letti a castello per poi mangiarlo verso mezzanotte o l’una del mattino. Sapevo dove lo nascondevano, dunque fu un gioco da ragazzi sdraiarmi per terra davanti al loro blocco, allungare il braccio destro, sollevare il coperchio del piatto di plastica e versarci sopra il peperoncino.

Era dunque giunto il momento di cambiare vita e di fuggire verso la tanto decantata Ponte-Noire; quel luogo, o meglio il porto di Pointe-Noire, divenne la sistemazione perfetta per quella piccola banda di ladruncoli che si dilettava in piccoli furti compiuti al porto e al Grand Marché. A Mosè piaceva così tanto scorrazzare tra il Grand Marché e i singolari quartieri della città così, un giorno, si imbattè in una donna che gli propose di mutare per sempre la propria esistenza: Mamma Fiat 500. Peperoncino si affezionò molto a Mamma Fiat 500 e alle sue ragazze zairesi, tanto da abbandonare lo scapestrato gruppo di banditi, guidato ormai interamente dai gemelli, per dedicarsi al suo nuovo lavoro di scaricatore di porto.
Tuttavia il nuovo capo di stato congolese – guidato da una tremenda gelosia gelosia nei confronti di Mamma Fiat 500 – decise di compiere un folle atto facendo misteriosamente scomparire sia la donna che le sue belle ragazze zairesi. Fu un duro colpo per Peperoncino e questa volta la sua reazione fu molto diversa rispetto a quando era un giovane adolescente: si armò di coltello e si diresse verso la dimora del politico per assassinarlo. Così fece, e da quel momento in avanti la sua esistenza fu completamente stravolta provocandogli gravissimi scompensi mentali che i professionisti della mente formatisi nella modaiola Parigi non riuscirono a sanare. Visti i risultati ottenuti, Peperoncino decise di rivolgersi a tradizionali stregoni certificati.

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Ma nemmeno quella medicina riuscì a curare l’ormai innocuo quarantenne rinchiuso nella sezione di salute mentale del carcere di Loango – che tanto assomigliava al vecchio orfanotrofio – intento a mettere per iscritto le proprie memorie di vita.
Attraverso una scrittura estremamente semplice, povera e disseminata di espressioni evidentemente rubate dalla tradizione orale, Alain Mabanckou con il suo Peperoncino – edito da 66THAND2ND – permette al lettore di conoscere le condizioni sociali e politiche di un paese da poco liberatosi dagli artigli dell’imperialismo europeo e con tanta voglia di proporsi al mondo come una vera e propria Nazione indipendente fiera della propria cultura e della propria storia.

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